Quando il ministro Valditara ha rilasciato la sua intervista a Il Giornale per spiegare i punti della sua “riforma” della scuola ha scelto accuratamente gli argomenti, i termini, le persone da citare?
È molto probabile (forse addirittura auspicabile, in un certo senso): se non avesse scelto scientemente di cosa parlare sarebbe grave, no?
Al momento, nessuno conosce il contenuto del documento ufficiale con le nuove indicazioni nazionali per la scuola che, peraltro, non sono vincolanti ma rappresentano un indirizzo.
Eppure tuttə (o quasi) già commentiamo il ritorno del latino alle medie, la lettura della bibbia – fuori dalle ore di religione? – le poesie a memoria e anche il fatto che Valditara non cita nemmeno una donna fra le persone esperte che stanno lavorando a queste indicazioni – la commissione è diretta da una pedagogista, Laura Perla – che scompare nell’intervista al Giornale, insieme alla parola pedagogia.
Tutto ciò che cita Valditara nella sua intervista ha un sapore passatista, nostalgico, tradizionalista, che ammicca senza tanti mezzi termini ai “nostri valori”.
Sembra tutto perfetto per solleticare le idee di chi, tutto sommato, ha sempre pensato che “il latino ti aiuta a ragionare”, che si stava meglio quando si stava peggio. Sembra tutto perfetto per spostare il discorso dal merito dei problemi da risolvere alla polarizzazione e ai “secondo me”: “Secondo me imparare a memoria le poesie serve”, “secondo me il latino è utilissimo perché io sono diventata più colta imparandolo” e via dicendo.
È un esempio da manuale di conversazione presa in ostaggio. Ma qui cerchiamo sempre di offrire anticorpi a questi meccanismi.
Fabrizio Venerandi, scrittore e professore, è molto gradevole da seguire su Facebook. Ha scritto questo, e mi sembra perfetto per commentare la questione.
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Al di là delle battute, l'anticipazione della "riforma" scuola mette assieme tutta una serie di cose, prese singolarmente anche trascurabili come il latino alle medie, folkloristiche come la letteratura norrena alle elementari o addirittura interessanti come l'insegnamento della musica, ma che sono inserite in un disegno che non riforma niente. Non risolve nessuno dei problemi della scuola e fa trasparire, assieme ad altri interventi ministeriali precedenti, una visione politica arretrata culturalmente, miope e sostanzialmente con funzioni restauratrici. Una restaurazione - il secondo paradosso - senza che ci sia mai stata una rivoluzione: una visione della scuola puramente disciplinare, basata su presupposti pedagogici sterili e tossici (la "didattica dell'umiliazione", piuttosto che la morte del byod alle secondarie inferiori, o la volontà di eliminare la geopolitica per (penserò male) mettere al centro di tutto il pensiero occidentale, romano, cattolico).
Mettiamola così: la scuola avrebbe un gran bisogno di fare "cose diverse" rispetto a quelle che sta facendo oggi e che - talvolta - timidamente ha fatto qua e là. Questo disegno che traspare dalle dichiarazioni ai giornali amici fa emergere una volontà di soffocare le pochissime innovazioni di cui sopra.
Poi si possono fare mille meme, notare che i nomi, tutti maschili, degli esperti citati ad aver aiutato a disegnare questa cosa, non vedono nessun pedagogista e che l'età media di questi riformatori è over settanta, scoprire che oggi ad applaudire la riforma c'è in prima fila una "persona" come Vittorio Feltri che ne approfitta (pure) per fare pubblicità a un suo libro sul latino e compagnia cantante. È il baraccone scuola a cui si accodano gli arlecchini del caso, i docenti pensionati "dopo di me il diluvio", e via via scendendo fino agli stronzi standard come il sottoscritto.
La verità è che - nel migliore dei casi - non cambierà assolutamente niente. Non cambierà assolutamente niente: stesse aule, stesso stress, stesse urla, stesso numero di ragazzi che abbandonano la scuola, stessi post da sessantenni che si lamentano che oggi "promuovono tutti", stessa schizofrenia di organizzare corsi PNRR antidispersione con una mano e rimandare, bocciare, riempire di voti rossi i registri elettronici con l'altra.
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Sarebbe bello riuscire a parlare di queste cose approfittando della polarizzazione, invece che litigare sul latino. E sarebbe bello che, in qualche modo, anche chi fa informazione facesse la sua parte. Ma, mentre ci proviamo, a un giro di dichiarazioni polarizzanti ne segue immediatamente un altro: ormai lo sappiamo, è un ciclo continuo che si innesta sulla dichiarazione precedente.
Paola Mastrocola è una scrittrice che – come scriveva Tullio De Mauro già nel 2011 – “si diletta scrivendo di scuola. Di questa ha un’idea precisa. L’unico alunno, su 25, che merita il suo insegnamento è tal Demonte. Demonte la entusiasma: interrogato ‘ripete esattamente quel che io ho detto’”.
Al Corriere della Sera ha detto di essere entusiasta per la faccenda del latino. E poi, nell’intervista, è spuntata l’intelligenza artificiale. Così:
Ora galoppa ChatGpt, cosa ce ne facciamo di Catullo e Cicerone?
«Tradurli rappresenterà ancora il nostro antidoto, un'incredibile palestra per la mente, proprio perché ce la dovremo vedere col digitale. Anzi, l'allenamento migliore è la traduzione dall'italiano in latino...».
La più ostica!
«Esatto, ma allenando la mente con quel tipo di frasi non ci batte neanche ChatGpt».
Ripulire l’ecosistema da queste considerazioni è faticosissimo, perché ovviamente tocca farlo in un contesto dove le idee personali contano tantissimo. Dove verrebbe facile dire: perché il latino e non il russo, il tedesco, il cinese, l’arabo, una qualsiasi altra lingua viva? Ma si innesterebbero subito altre questioni culturali tipi “il latino rappresenta le nostre radici” e via dicendo. Un disastro, insomma.
Però, quando una persona con grande visibilità dice cose di questo genere su una tecnologia che può aiutarci a fare bene e meglio bisogna fare un esercizio di pazienza e decostruire un immaginario che affonda le proprie radici nella fantascienza catastrofista. Proviamo così.
non c’è bisogno di battere ChatGPT o altri modelli linguistici. Non c’è nessuna gara, nessuna competizione in corso fra umani e macchine. Sarebbe bello smettere di parlare di competizione anche fra umani, ma non ha proprio senso introdurre quest’altro antagonismo.
se anche ci fosse una gara, in cosa dovremmo, esattamente, battere ChatGPT e simili? In velocità? In accuratezza? E perché dovremmo batterlo invece di usarlo a nostro vantaggio e piacimento?
ChatGPT è, appunto, uno strumento da usare Non ci verrebbe mai in mente di dover battere una calcolatrice o un programma di videoscrittura o un forno a microonde.
le intelligenze artificiali generative personalizzate sono dei potenziatori di creatività e competenze, non sono strumenti da subire, non sono nemici, non sono il male. Vanno studiate, imparate, usate.
il problema, se mai, è proprio l’idea che abbiamo di studio, studentə, apprendimento, competenze, conoscenze, lavoro
ironicamente, per molte persone le ia generative sono solo pappagalli stocastici, che ripetono senza capire le cose su cui sono state addestrate. Proprio come quel Demonte che piaceva a Mastrocola. Demonte che, ‘interrogato, ripete esattamente quel che io ho detto’
Purtroppo c’è tanto lavoro da fare e quando si confronta la visibilità che avranno le posizioni più complesse con la facilità con cui il latino, la bibbia, le filastrocche e i “non ci batte neanche ChatGPT” conquistano la scena, bisogna resistere allo scoramento e continuare con la produzione di anticorpi.
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Con Slow News siamo sempre impegnati sul fronte della formazione e, nei limiti della nostra sostenibilità, cerchiamo di proporre risorse o eventi formativi gratuiti. Ce ne sono due che erogano anche crediti per l’ordine dei giornalisti (ci si può iscrivere solamente dal portale di formazione), organizzati insieme all’Ordine dei giornalisti Lombardia.
Il 22 gennaio facciamo un corso sull’intelligenza artificiale per l’indagine giornalistica, cercando di spiegare Come creare uno strumento di ricerca per il giornalismo investigativo con l’uso dell’AI. Lo facciamo insieme a Luigi Scarano, reporter di Backstair, l’unità investigativa di Fanpage. Qui il link sul portale (ma prima devi fare login!) e qui sotto la descrizione.
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Buon fine settimana,
Alberto & Jon Slow
Grazie per questa riflessione. Sono ancora in definizione della mia posizione sul latino. Io che non l'ho studiato faccio fatica a comprendere la ricchezza delle parole attraverso la loro eziologia. Inoltre credo che non si tratti solo di contenuti per la scuola ma le metodologie e tecniche impiegate. Servono strumenti più attivarti e non solo passivi. Comprendo anche la difficoltà e frustrazione di molt* insegnanti.