Pochi minuti prima che iniziassi a scrivere questa newsletter, per puro caso, mi hanno parlato di alcune persone che, da qualche giorno, sanno che il loro lavoro sarà presto sostituito da un software di intelligenza artificiale.
Non è una bella storia. Hanno ricevuto una comunicazione aziendale ufficiale e una proposta di “riallocazione” – detesto le parole che vengono usati per le persone quando dovrebbero essere usati per i pacchi – che, a giudicare da quel che mi raccontano, suona tanto come un demansionamento.
Per quanto ho potuto capire del lavoro di queste persone, si tratta di un lavoro molto meccanico anche se “di concetto”: loro non se lo aspettavano proprio, purtroppo, e non avevano percezione del rischio, anche se, con un paio di ricerche online, si poteva scoprire abbastanza facilmente che l’azienda in questione aveva annunciato programmi di lavoro con le AI, e proprio in quelle aree. Quei tipi di lavoro, inoltre, sono proprio quelli ritenuti più a rischio da chi comincia a immaginare cosa potranno fare queste macchine.
Quel che mi sorprende, però, è che nel percepito generale è colpa dell’intelligenza artificiale che ci ruba il lavoro, quando i problemi, invece, sono strutturali.
Il primo problema è proprio il mercato del lavoro, l’idea che una persona vada misurata e dunque in qualche modo compensata in base alla propria produttività. L’idea che possano esistere dei bullshit jobs, come li ha felicemente chiamati David Graeber.
Il secondo problema, connesso al precedente, è proprio la struttura estrattiva capitalistica, dove, in uno schema piramidale, chi sta ai vertici di qualsiasi struttura societaria occidentale estrae profitto – in termini di denaro, consenso, potere – dal lavoro degli altri.
Il terzo problema è che mercato del lavoro e struttura estrattiva capitalistica sono sostenuti da un’ideologia che ci contagia tuttə e che spesso viene strenuamente sostenuta e difesa da chi ha meno: l’ideologia lavorista, l’ideologia che ci ha convintə che non ci siano alternative. Sei costretta a fare due ore al mattino e due alla sera per andare a lavoro (ovviamente non retribuite)? È giusto così, di che ti lamenti? Fai un lavoro che non ti dà soddisfazione? Almeno ce l’hai, un lavoro, come osi lamentarti? Non riesci a ritagliarti tempo per leggere, uscire, giocare, fare sport, fare niente? Quelli sono privilegi, prima pensa al lavoro. Tutti quei post motivazionali sul non procrastinare. Tutti quei suggerimenti per essere più produttivə. Tutti quegli articoli sui ricchi che hanno i piani B e mollano tutto per fare altro. Tutta la colpevolizzazione della povertà, di chi non ce la fa, non può, non riesce. È un’ideologia violenta che vince, su tutto.
Connessi a questi tre elementi, ce ne sono altri corollari ma che ruotano tutti intorno a questi tre poli che si autoalimentano: li ho già citati, sono le parole chiave di cui dovremmo liberarci: l’efficenza, la produttività, l’ottimizzazione, la misurazione delle performance, l’adattabilità ai compiti, il profitto, la riallocazione delle risorse.
Le persone che perdono il lavoro perché sostituite da un software di AI seguono schemi che abbiamo già visto. Come gli svegliatori che furono sostituiti dalle sveglie; come i gruppi di calcolo umano – di solito donne – sostituiti dai calcolatori elettronici. La sostituzione non è un problema tecnologico. È un problema politico, sociale ed economico.
La società non si è dotata degli anticorpi contro la sostituzione e noi siamo incastrati in questo meccanismo. È naturale, a volte, non trovare nulla di meglio da fare che incolpare la tecnologia e provare a risolvere problemi come si è sempre fatto.
Avremmo bisogno di nuove vie da sperimentare e, ovviamente, di tempo per farlo. Mentre lo scrivo, so benissimo che c’è una trappola: le persone che hanno già perso ora il loro lavoro – o quelle che temono di perderlo – tutte queste cose, le troveranno insignificanti, insensate, inutili, perché c’è la contingenza. La trappola della contingenza è il ricatto dell’ideologia, del mercato del lavoro e dell’estrazione capitalistica. È il ricatto che permette ai tre problemi di cui abbiamo parlato di prosperare: devo risolvere il qui e ora, il mio. Al massimo quello della mia cerchia ristretta. Se proprio ho voglia di sbattermi, quello della categoria a cui appartengo (purché prima mi salvi io). È il ricatto estrattivo che riproduce queste dinamiche in ogni ambiente: se faccio disegni per vivere, non voglio che altri possano accedere a macchine che disegnano. Non si può biasimare, come discorso, anche se è l’emblema del successo dell’ideologia lavoristico-capitalista: siamo atomizzati. Dobbiamo pensare prima a noi, del resto si occupasse qualcun altro.
Come se ne esce?
Non ho soluzioni sociali e non le potrei mai trovare da solo. C’è chi pensa a modelli ottocenteschi, chi crede ancora alla crescita infinita fingendo che sia un’idea rivoluzionaria e nuova. Qualche idea più radicale c’è, ed è persino sterile elencarle, ma va fatto: il reddito di base universale, prima di tutto; i limiti al patrimonio personale, il ripensamento del mercato del lavoro, l’adozione di ammortizzatori sociali altri, il ridefinire le professioni indispensabili e non sostituibili formando tantissimo, pagando tantissimo chi le fa: di solito sono quelle di relazione e cura, pensa un po’. Sono quelle che diamo per scontate e che però fanno andare avanti il mondo in cui viviamo: il personale scolastico, il personale della sanità, le persone che si occupano dei servizi essenziali e via dicendo.
È ovvio che se pensiamo a tutto questo non possa che prenderci un incredibile scoramento: da dove iniziamo? Dalle piccole cose, purtroppo.
Nel brevissimo periodo e per la contingenza, credo che una strada possa essere quella di imparare e usare gli strumenti che abbiamo a disposizione per migliorarci la vita (e, sì, anche il lavoro), condividere quel che impariamo, diffondere, lentamente, gli anticorpi e ricordarci ogni giorno che non è vero che non c’è alternativa.
Qui proviamo a farlo, a seconda delle energie a disposizione, quasi tutte le settimane. Personalmente, è uno dei pezzi delle mie attività: mostrare che si possono imparare tecnologie e metterle a disposizione delle altre persone. Come abbiamo fatto con il FOIAbot, per esempio.
🎉 Il FOIAbot funziona!
🥳 Ci sono già state 184 conversazioni con il "FOIAbot", e almeno una di queste ha portato dei risultati concreti(*).
La collega Ilaria Roberta Sesana ha usato il FOIAbot come assistente per una serie di richieste di accesso agli atti e ha ricevuto la prima risposta.
In particolare, ha usato il FOIAbot per:
📌 fare una rassegna stampa online sul fenomeno che stava indagando
📌 individuare l’ente a cui chiedere i dati ("Ovviamente", dice Ilaria, "su questo mi sono confrontata con un esperto per avere una conferma")
📌 recuperare gli indirizzi pec degli enti a cui mandare la richiesta. Sembra una banalità ma, dice sempre Ilaria "A mio avviso questo è il punto più importante perché è quello che fa perdere più tempo"
Il FOIAbot è un GPT personalizzato che ho creato dentro ChatGPT, da un'idea e con l'aiuto di Riccardo Saporiti, per assistere giornaliste e giornalisti nella richiesta di accesso agli atti di documenti della pubblica amministrazione.
La cosa interessante è che il chatbot, per come l'ha usato Ilaria, è andato oltre gli scopi per cui l'avevo programmato inizialmente. Il che è un'ottima notizia, perché, con l'uso consapevole e umano, funziona come assistente su bisogno concreti.
Questo è quel che, in Slow News, pensiamo sia la condivisione necessaria nel giornalismo.
Presto lo renderemo fruibile in beta testing.
L’AI Atex Challenge ha un vincitore: Il Capoluogo
In questo video racconto cosa abbiamo imparato con la AI Atex Challenge e quali sono le sfide che freelance e giornali grandi e piccoli vorrebbero provare a risolvere con le intelligenze artificiali. Con me ci sono anche Sara Forni (Atex) e David Filieri, direttore responsabile del Capoluogo, che ha vinto la challenge.
AI@Work
A proposito di imparare, è uscita la sesta puntata di AI@Work, in cui parlo di come usare le intelligenze artificiali come assistenti per il piano editorale. Lo trovi qui, a 59 € IVA inclusa. Esce una puntata nuova ogni mercoledì, fino a esaurimento del programma. E poi? E poi si vedrà. Le lezioni, naturalmente, rimarranno disponibili sempre.
Buon fine settimana,
Alberto & Jon Slow