Rabbia e nostalgia su Facebook: essere umani
Di quale visibilità abbiamo bisogno? Gli insulti e il caso "Caro Jannik, ti scrivo"
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Durante il fine settimana delle finali della Coppa Davis 2024 ho usato il mio profilo Facebook per giocare un po’. Quando Sinner ha vinto il suo singolare contro l’Argentina ho postato questo.
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Sono consapevole del fatto che l’ironia sia metatestuale, ma mi sembrava che ci fossero sufficienti elementi per coglierla. Il primo elemento è che le quattro considerazioni con cui si apre il testo del post sono tutte false.
Il post, infatti, pubblicato il 21 novembre 2024, inizia così: “Non vincerà mai un 500, un 1000, uno Slam, non sarà mai numero 1 ATP”.
In quel momento, però, Sinner:
📌 aveva già vinto 5 ATP Tour 500 (Washington Open 2021, China Open 2023, Vienna Open 2023, Rotterdam Open 2024, Halle Open 2024)
📌 aveva già vinto 4 ATP Masters 1000 (Canadian Open 2023, Miami Open 2024, Cincinnati Open 2024, Shanghai Masters 2024)
📌 aveva già vinto 2 Slam (Australian Open 2024, U.S. Open 2024)
📌 era già numero 1 ATP dal 10 giugno 2024
Il post continua con commenti che i detrattori di Sinner hanno fatto nonostante i suoi successi: “non è il vero numero 1, non è romantico, non mi emoziona, non è bello da vedere”.
Si conclude con altri due elementi che, per me, rendevano incontrovertibile la sua comprensione:
📌 un surreale “che noia vince sempre” (ma come, abbiamo detto “non vincerà mai” cose che ha già vinto, come possiamo ora sostenere “che noia vince sempre”)
📌 l’emoticon del cuore ❤️
Le persone che, per prime, hanno interagito con il post erano nella mia cerchia di prossimità più ristretta. Fra di esse, Alessandro Nizegorodcew – autore, per Slow News, di La moltitudine del tennista, un pezzo sul tennis che abbiamo pubblicato su Piano, la nostra rivista cartacea, e che abbiamo deciso di “aprire” anche in digitale per la lettura gratuita. Alessandro e le altre persone hanno tutte colto l’ironia.
Qualcuno, nei commenti, ha iniziato una delle polemiche su Sinner che, volutamente, non avevo citato: “Ha la residenza a Montecarlo, non paga le tasse in Italia”. Non voglio entrare nel merito di questa – comprensibile – obiezione. Mi limito a dire che sì, questo è un problema che, in ultima analisi è legato a tante questioni: lo sport professionistico, le disuguaglianze, le disparità di trattamenti fiscali, il capitalismo estrattivo, il denaro, la società tutta. Non posso fare a meno di notare, allo stesso modo, che un po’ curiosamente questa obiezione si è vista emergere – per chi segue i siti sportivi e annessi è stato abbastanza evidente – proprio specificamente contro Sinner, come argomento.
A un certo punto però è successo qualcosa. Quel qualcosa è: l’algoritmo di Facebook per qualche motivo (un combinato disposto di: Sinner triggera, l’Italia aveva passato il turno in Davis e via dicendo) ha aperto drasticamente le visualizzazioni del mio post a persone completamente esterne alla mia cerchia di prossimità.
Me ne sono accorto quasi 24 ore dopo. Quel che ho trovato sotto al post erano centinaia di commenti. Molte persone avevano colto e cavalcato l’ironia. Altre per nulla.
La rage machine in azione
Sono stato insultato nei modi più vari e sono emersi: aggressività varia, insulti abilisti, insulti omofobi, insulti razzisti. Ho iniziato a rispondere ai vari commenti per vedere cosa succedeva. Poi ho fatto un commento per vedere quanti avevano inteso l’ironia (parecchi, tutto sommato). Ma ormai la frittata era fatta. Ho continuato comunque a gestire la conversazione, con toni di voce simili, un po’ ironici, a volte ho spiegato letteralmente che era una battuta.
Qui ci sono i risultati parziali di questa botta di visibilità del post al 27 novembre 2024: 160.430 impression, 29.907 interazioni, 888 reazioni, 1296 commenti in totale.
Il sabato, quando Sinner ha vinto il secondo singolare, ho fatto un altro post, simile al precedente.
Sapevo che sarebbe andato “peggio” in termini di visibilità quantitativa, ma a questo punto volevo verificare un po’ di cose.
Quantitativamente impression e interazioni sono molto più basse.
Qualitativamente, la dinamica è stata identica a quella che ho descritto: prime interazioni di persone amiche che hanno colto, poi insulti.
In precedenza avevo già parlato di questo tema. Il 10 settembre 2024, per esempio, con ottimi risultati quantitativi. Il post era di quelli amarcord (a quanto pare la nostalgia tira su Facebook), inoltre era stato ripreso da Fabrizio Delprete, di cui parleremo fra un po’.
Una cosa radicalmente diversa rispetto alla rabbia scatenata dal mio post più recente, ironico, è il fatto che quello amarcord, lunghissimo, è stato ricondiviso 82 volte. La nostalgia fa venir voglia di ricondividere, non di insultare.
Un’altra volta, invece, la condivisione era più seria, più noiosa, meno emotiva e dunque con meno interazioni (era il 18 novembre 2024).
Le dinamiche in azione che vediamo da questi numeri e dalle azioni delle persone sono, dunque, varie
c’è un tema di cui parlano moltissime persone
c’è il fatto che quel tema può portare a una polarizzazione di vedute
c’è la possibilità di cavalcare quel tema con la nostalgia
c’è la possibilità di cavalcare quel tema con ironia, ma solo con la tua cerchia di prossimità a meno di non costruire un percorso consapevole
c’è la rage machine, una macchina di rabbia che porta le persone a insultare ciecamente, senza pensarci troppo e senza perdere tempo a badare al contesto
c’è la minoranza silenziosa: dato il numero di interazioni è evidente che moltissime persone, semplicemente, non si sono espresse
Finita la rabbia, però, che succede?
I dati e i picchi
Questi sono i numeri recenti del mio profilo Facebook.
La metrica della visibilità delle mie attività si impenna appena entra in funzione la rage machine. Poi però, a parte qualche sussulto, si ritorna esattamente a quel che succedeva prima.
Enrico Marchetto – autore, fra l’altro, di Confessioni di un marketer – è intervenuto su uno dei post in cui provavo a ragionare su questi temi. Ha scritto:
“Uno degli aspetti a cui penso sempre per ovvia deformazione è la capacità di monetizzare questo effetto. Nel senso che fosse stato su IG, potevi incamerare follower grazie a questa polarizzazione non voluta.Però fosse stato IG, il livello cognitivo sarebbe stato più alto e quindi probabilmente non avresti avuto questa Social Proof. In più avresti dovuto usare un reel per aver un po' di distribuzione algoritmica.
Ecco, probabilmente con un contenuto del genere su IG o TikTok, sotto forma di video engage avresti capitalizzato un bel po'. Nel senso che avresti fatto sicuro sicuro più di una milionata di view. Perché alla fine di fronte a ste robe, tanto vale massimizzare a livello di brand personale. Su FB purtroppo fai social proof a caso sugli over 50 ma non capitalizzi mai il loro dissenso”.
E in effetti, se volessimo riportare tutto al tema della capitalizzazione (sono d’accordissimo su “alla fine di fronte a ste robe, tanto vale massimizzare a livello di brand personale”) la domanda diventerebbe: come si capitalizza la rabbia?
Forse lo possono fare solo i politici che non si pongono scrupoli nel dividere e che hanno bisogno del consenso – un consenso che nasce dal dissenso. Forse lo possono fare anche quelli che hanno scopi generici di visibilità? Non ho una risposta definitiva, magari ne parleremo.
Chiaramente non è colpa dei social. Riflettevo, però, su un fatto. Quando esistevano i blog non professionali ne avevo prima uno su Splinder, una piattaforma che ospitava gratuitamente blog personali, poi uno su un dominio tutto mio – lunga storia. Avevo qualche odiatore tutto mio ma, in genere, erano persone che rimanevano coperte da un nickname. Probabilmente sapevano che le loro azioni avrebbero avuto conseguenze nella vita reale. Due odiatori particolarmente accaniti non ho mai saputo chi fossero e non lo so ancora adesso. Invece le persone che, non capendo l’ironia, mi hanno insultato con leggerezza e violenza – a parte quando sono palesemente dei bot – sono persone che hanno un faccia, un nome e un cognome e delle foto profilo, spesso coi nipoti o i figli. Alcune di queste persone si sono prese la briga di reiterare i loro insulti anche in privato.
La mia sensazione è che, oltre a non aver contezza del contesto, non si rendano nemmeno conto che quel che fanno rimane in maniera permanente a meno che non venga volontariamente cancellato e che, dunque, potrebbero esserci le famigerate conseguenze.
Ho conversato con alcune di queste persone e ho risposto a vari commenti, provando registri differenti. Ci torneremo su.
Caro Fabrizio, ti scrivo
Però non è tutto così, non generalizziamo: se si fa un buon percorso con un ragionamento sensato si possono ottenere ottimi risultati anche su Facebook. Da qualche tempo a questa parte, sul tema Sinner, seguo Fabrizio Delprete. Con ironia leggera e bella penna, Fabrizio commenta le avventure del tennista in romanesco, lo chiama er cavaliere roscio (e naturalmente ar cavaliere roscio nun je deve cacà er caz**. Per chi ha qualche anno in meno, la semi-citazione è da Gigi Proietti, la storia del cavaliere bianco e del cavaliere nero).
Quando ho scoperto Fabrizio, faceva un commento quasi-live delle partite di Sinner (e di altre del circuito ATP). Ricordo che una volta mi stupii della reazione dei suoi follower: c’era il fuso orario, Fabrizio – anche giustamente – si era addormentato e nei commenti c’era chi chiedeva dove fosse, chi proseguiva il racconto, chi gli chiedeva conto della scomparsa, questionando se fosse o meno dovuta a moje. Moje è uno dei personaggi delle storie che Fabrizio racconta – non ho mai incontrato né lui né Moje dal vivo, ma non ho dubbi che esistano: le intelligenze artificiali di cui mi occupo spesso non sono ancora arrivate a tanto – e che rendono unico, non ripetibile il suo stile di racconto.
Non ripetibile non nel senso che un bot di intelligenza artificiale non potrebbe mettersi lì e imitare, artificialmente, appunto, il suo modo di raccontare. Ma perché è umano, vero – o comunque verosimile – caldo, relazionale: Fabrizio, insomma, ha capito come si fa a essere non-sostituibili, mettendo insieme un po’ di fortuna – per favore: ricordiamoci sempre che nei casi di studio la componente fortuna ci vuole – talento per la scrittura, intuzione, capacità relazionali, comprensione dell’algoritmo, scelta del luogo (Facebook, non TikTok, perché Fabrizio scrive, non fa i reel).
A volte Fabrizio è tranchant, a volte sa essere romantico e nostalgico
Oltre al cavaliere roscio – che a volte è anche Jannikbello o JannikRobotDeDiamante – Fabrizio ha coniato soprannomi per i vari avversari di Sinner. C’è l’orango de ‘a Murcia (Carlos Alcaraz), c’è er cane pazzo e storto de la tundra (Danil Medvedev) e via dicendo, ci siamo capiti. Un giorno mi sono sorpreso a scrivere in chat con amici “il cane pazzo della steppa” per parlare di Medvedev: avevo introiettato pezzetti, meme della scrittura di Fabrizio e li avevo fatti miei. Non mi sono stupito, quindi, di cos’è successo.
I 60mila follower (e oltre) che Fabrizio si è portato a casa con questa formula – che ho visto evolvere con enorme piacere, prima di tutto da lettore – e l’applicazione tecnica della medesima gli hanno dato una fanbase. E poi è arrivato un libro, Caro Jannik, ti scrivo. E poi il libro è finito in classifica, e quindi è diventato un caso editoriale, e quindi è diventato notiziabile.
Anche Fabrizio ha avuto i suoi insulti e qualche flame: qualcuno si è piccato per l’uso insistito del romanesco. Qualcuno gli ha scritto che col suo libro ci si pulirà le terga. Fabrizio ha risposto coerentemente con quel che aveva fatto fino a quel momento.
Ho raccontato il suo caso ad alcune persone che lavorano in una casa editrice con cui collaboro per altri motivi: in un mondo sempre alla ricerca di quel che si dovrebbe fare, dei trend emergenti, delle previsioni, dei trucchi, della magia, del successo assicurato, il caso di Fabrizio racconta esattamente quel che si dovrebbe fare.
Essere umani.
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