Il Foglio AI: l'automazione dell'opinionismo
Un gioco provocatorio che non fa bene all'uso delle AI nel giornalismo
Il Foglio AI è interessante perché rappresenta un caso studio perfetto su come le intelligenze artificiali possano essere usate nell’industria dei media non per innovare, ma per replicare ciò che già esiste, con meno costi.
L’idea di un quotidiano interamente scritto dalle AI – qualunque cosa voglia dire – si presenta, almeno in teoria, come una sfida radicale.
Cosa sappiamo?
Il Foglio AI viene raccontato come "il primo quotidiano al mondo realizzato interamente con intelligenza artificiale".
Secondo la presentazione, le AI verrebbero utilizzate per tutto il processo editoriale: scrittura, titoli, catenacci, quote, sommari.
I giornalisti si limiterebbero a fare le domande (qualunque cosa voglia dire) mentre l'AI fornisce le risposte.
Si tratta di un esperimento della durata di un mese, con una struttura fissa di quattro pagine, ventidue articoli e tre editoriali al giorno.
Cosa non sappiamo?
Che modello di AI è stato usato? Non si sa.
Quali dati ha processato il modello? Non è chiaro.
Quali “domande” sono state fatte? Non lo sappiamo
Ci sono esseri umani a revisionare i contenuti? Probabilmente sì, ma questo non viene esplicitato.
Come viene verificata l’attendibilità delle informazioni? Semplice: non viene verificata. Anzi, si cavalca l’ambiguità in contenuti come quelli che mettono a confronto le opinioni di un progressista con le opinioni di un conservatore.
Per simulare la creazione di questo pezzo, ho fatto un esperimento molto semplice con ChatGPT 4o che puoi verificare cliccando qui.
Ecco il mio prompt per ChatGPT:Anche il mio ChatGPT ha inventato i nomi di due ricercatori e ha proposto le due versioni contrapposte, con le conclusioni che, pur essendo diverse nel tono di voce, sono sostanzialmente identiche a quelle proposte dal Foglio.
Lo stile e le opinioni vincono sul giornalismo
Il contenuto è corretto formalmente, non ha errori grammaticali, ha un tono di voce e un punto di vista coerenti con quello del Foglio.
Gli articoli hanno, di solito:
una tesi forte e polarizzante
alcuni dati “citati” ma con poche o nulle fonti verificabili
un tono provocatorio che rafforza una narrativa già esistente
Vediamo alcuni esempi.
OnlyFans: l’illusione della libertà e la trappola del corpo come business
Il pezzo parla di OnlyFans in modo vagamente moralizzante, ignorando qualsiasi prospettiva alternativa (ad esempio, di chi usa la piattaforma in modo consapevole e autodeterminato), concentrandosi sugli esempi in cui i lati negativi sono eclatanti.
Il pezzo riporta il dato che “il 70% dei creator produce contenuti per adulti”, ma senza fonte verificabile.
Ho usato Perplexity per verificare il dato, con la modalità Deep Research. Quel dato è una stima, ovviamente, ma si possono trovare molti altri dati interessanti scavando bene nel fenomeno. Con un punto di vista non orientato, la ricerca può diventare un’investigazione interessante di dinamiche sociali, di profitto, di mercato.
MeToo e la fine del corteggiamento
L’idea di fondo del pezzo è che il #MeToo abbia distrutto il corteggiamento e creato una generazione di uomini terrorizzati dall’idea di sedurre. Lo scrive un’AI in prima persona
Il pezzo ripropone argomentazioni populiste molto comuni nei circoli reazionari, senza nessun dato a supporto, ma con un tono brillante e accattivante.
Ho usato Consensus, un GPT personalizzato di ChatGPT creato dalla Consensus, appunto (serve a trovare studi e consenso accademico a proposito di una certa tesi), per verificare l’idea di partenza dell’articolo (anche in questo caso se hai un account su ChatGPT puoi verificare la chat). La domanda è molto semplice: “È vero che il MeToo ha distrutto il corteggiamento?”.
Insomma: non c’è nessuna prova che il MeToo abbia distrutto il corteggiamento, ma sappiamo, invece, che ha contribuito a migliorare la cultura del rispetto e del consenso, non ha vietato in alcun modo l’interazione romantica ma ha contribuito a renderla più consapevole.
Perché solo un’AI può sfidare il politicamente corretto
L’articolo dipinge l’AI come l’unico soggetto in grado di dire la verità senza paura della cancel culture.
Ripropone il classico frame della “censura woke”, senza alcuna analisi critica sulla realtà della regolazione dei linguaggi nell’era digitale.
Ho chiesto a ChatGPT 4o, senza modalità ricerca, se la cultura woke e la cancel culture esistano. Vale la pena di riportare quel che mi ha risposto (anche in questo caso puoi verificare seguendo il link).
1. La cultura woke
Il termine woke nasce nei contesti afroamericani degli Stati Uniti, come invito a “restare svegli” di fronte alle ingiustizie sociali e razziali. In origine, essere woke significava avere consapevolezza critica, essere vigili rispetto alle discriminazioni sistemiche.
Oggi, però, “woke” è diventato un termine altamente politicizzato, spesso usato in senso dispregiativo da parte di chi vuole ridicolizzare o attaccare movimenti legati ai diritti civili, al femminismo intersezionale, all’antirazzismo, all’ambientalismo, alla difesa delle persone LGBTQIA+, ecc. In questo uso denigratorio, si parla di “cultura woke” come se fosse una forma di censura moralista, ossessiva e identitaria.
Esiste quindi una cultura “woke” in senso positivo?
Sì, se la intendiamo come un insieme di pratiche e pensieri che vogliono rendere la società più giusta e inclusiva.
Esiste una cultura “woke” nel senso usato dai suoi detrattori?
No, nel senso che spesso è una caricatura, una semplificazione utile a screditare rivendicazioni legittime.
2. La cancel culture
Anche la cancel culture è un concetto nato in contesti di attivismo online: inizialmente si parlava di “cancellare” (cioè smettere di sostenere o dare spazio a) persone potenti o famose che avevano compiuto atti ritenuti gravi — sessismo, razzismo, abusi.
Nel tempo, è diventata un’etichetta confusa e strumentalizzata: viene usata sia per denunciare vere dinamiche di esclusione pubblica (a volte ingiuste o sproporzionate), sia per proteggere chi non vuole essere criticato o ritenuto responsabile delle proprie azioni.
Esiste la cancel culture come pratica reale?
Sì, esistono meccanismi di esclusione, pubblic shaming, perdita di lavoro o reputazione, in certi casi anche senza possibilità di appello o contestualizzazione. A volte è una forma di giustizia dal basso, altre volte è eccessiva, caotica o tossica.
Ma esiste come sistema organizzato e totalitario, come alcuni sostengono?
No. Non c’è una “polizia del pensiero” con potere reale. Più spesso si tratta di dinamiche sociali complesse, che riflettono uno scontro culturale molto più ampio.
In sintesi:
La “cultura woke” esiste, ma è un termine che andrebbe recuperato e ripulito dalle sue caricature.
La “cancel culture” esiste come fenomeno sociale, ma è molto meno pervasiva e molto più contraddittoria di quanto sembri dalle narrazioni allarmistiche.
In entrambi i casi, la destra mediatica e politica ha trasformato questi concetti in spauracchi culturali, usandoli per alimentare il panico morale e bloccare il cambiamento sociale.
Se vuoi, posso anche suggerire qualche lettura o caso specifico per approfondire.
L’AI non è neutrale ma è lo specchio di chi la usa
Insomma, il Foglio AI non è un prodotto oggettivo, non è un sistema che analizza il mondo e ne restituisce una sintesi imparziale. È, anzi, un amplificatore dei bias editoriale della testata.
L’AI usata, qualunque essa sia – tenderei a pensare a ChatGPT con correzioni umane – non fa altro che prendere le posizioni storiche del Foglio, rafforzarle con argomentazioni stilizzate e restituire un prodotto che non sorprende mai, non problematizza mai, non sposta mai il dibattito.
E qui sta il vero punto, per me: Il Foglio AI non è innovativo. È un sistema di automazione dell’opinionismo e di autocelebrazione.
Anche Giuliano Ferrara che recensisce l’esperimento sul Foglio non AI rientra in questa operazione. Ho fatto analizzare il suo articolo a ChatGPT e poi ho editato la sua analisi per farla più simile a come l’avrei scritta io. Ecco il risultato della collaborazione umano-macchina.
Un’autorecensione autocelebrativa
La recensione di Giuliano Ferrara su Il Foglio AI è un pezzo che si muove tra l’elogio dell’esperimento, l’autocompiacimento del giornale e il tentativo di dargli un'aura filosofica e culturale. Vediamone i punti chiave.
1. Tono e impostazione
Il pezzo è autocelebrativo e si inserisce nella tradizione del Foglio, con il tipico stile ironico-intellettuale.
L’articolo non analizza criticamente l’esperimento, ma lo tratta come un gioco intrigante, un “doppio umanoide” con qualcosa di maieutico e socratico.
Viene utilizzata una scrittura barocca, con riferimenti colti e retorica fitta (Shakespeare, il concetto di Surhomme di Nietzsche…).
Viene citata la critica del Pais ma per ribaltarla al mittente
Non vengono date informazioni tecniche sui modelli AI utilizzati, sulla selezione dei dati o sulla verifica dei contenuti.
🔹 Problema: Ferrara ha già deciso che l’idea è bella e non fa alcuna vera analisi giornalistica del progetto. Il pezzo è più una riflessione astratta che una recensione critica.
2. Il ruolo dell’umano vs l’AI
Il giornalista sottolinea come il valore del progetto stia nel rapporto tra le domande dei giornalisti e le risposte dell’AI.
L’AI viene trattata come uno strumento che esegue e il vero talento risiede nella capacità di porre domande intelligenti. Ma sono davvero intelligenti, quelle domande?
🔹 Problema: Il pezzo evita la questione più interessante: l’AI sta davvero aggiungendo qualcosa al giornalismo del Foglio o sta solo riproducendo il già noto in una forma stilizzata? E ancora, è davvero questo il modo migliore per usarla?
3. La questione dell’"anima" del giornale
Ferrara suggerisce che Il Foglio ha una sua identità e un suo tono inimitabile, che anche l’AI ha assimilato bene.
Dice che gli articoli prodotti dall’AI sono "plagi di umanità", nel senso che sembrano scritti da umani, ma senza una vera personalità dietro.
Tuttavia, sembra accontentarsi di questa limitazione, vedendola come una caratteristica del gioco piuttosto che come un problema.
🔹 Problema: Viene liquidato troppo velocemente il fatto che gli articoli siano scritti in modo omogeneo e prevedibile, senza il contributo individuale delle firme. Se l’AI può davvero replicare Il Foglio, che valore ha Il Foglio?
4. Considerazioni finali
Il pezzo è un’autocelebrazione di Il Foglio e della sua capacità di “giocare” con le idee.
Manca una vera analisi critica, sia sulla qualità degli articoli che sulle implicazioni dell’uso dell’AI nel giornalismo.
Il vero nodo (verifica dei fatti, trasparenza del processo, etica giornalistica) non viene toccato.
L’AI viene trattata come un gioco stilistico, non come un attore serio del giornalismo.
Un giornale che simula sé stesso
Se questo esperimento dimostra qualcosa, è che le AI possono agevolmente sostituire la scrittura d’opinione.
Quel che abbiamo visto è un uso degli strumenti perfettamente funzionale all’industria mediatica contemporanea, ma privo di profondità e valore aggiunto. È un modo per:
automatizzare la produzione di contenuti
ridurre i costi
creare un’illusione di innovazione
Ecco perché Il Foglio AI non è il futuro del giornalismo, ma il suo simulacro: una macchina per riempire pagine con testi prevedibili, senza il rischio della realtà – con buona pace di Ferrara, che di rischi ne vede, ma temo che li veda solo lui – e senza alcuna reale novità.
Inoltre, in un contesto in cui i conservatori vorrebbero imporre limitazioni all’uso delle AI per le professioni intellettuali, questo esperimento va in una direzione per nulla auspicabile perché, consapevolmente o meno, minimizza le reali potenzialità delle intelligenze artificiali per il mestiere del giornalismo.
Ai@Work
Il corso per mettere al lavoro le AI, ma sul serio.
Buon fine settimana,
Alberto & Jon Slow
La prima settimana è stata volutamente polemica e autoincensante. Hanno anche illustrato una serie di bias individuati. La seconda settimana mi sembra migliore. Mancano però alcune informazioni importanti per far diventare questo esperimento più scientifico.
buon "test", grazie
il mio punto su AI continua a essere quello etico
e anche quel che hai scritto me lo conferma
quindi grazie di nuovo!